Queste parole si leggono nel diario di Milena Alì. E non dicono dell'abitudine nostra, sazia di tragedie teletrasmesse entro le mura domestiche. Sono invece parole che esprimono la consuetudine tremenda al dolore quotidiano, allo strazio combattuto attraverso una professione bella e terribile: quella di infermiera della Croce Rossa in Iraq, in servizio all'ospedale di Baghdad - reparto grandi ustionati. In quest'opera viva e interessante, che si può leggere senza soste, il lettore intenderà i giorni frenetici dell'autrice, trascorsi tra lavoro, sofferenza e rischio: i giorni in cui donne e bambini atrocemente muoiono, e in cui le uniche pause concesse agli eroici sanitari italiani sono un giro in auto, un gelato o un pasto veloce tra amici, un giro con la scorta armata in città per sbrigare qualche commissione. E vi ritroverà la diffidenza e, infine, la gratitudine del popolo iracheno. Emerge dal libro l'intensità di una vita spesa in favore degli altri, che mette in conto sacrifici e restrizioni della libertà personale e, persino, azzarda tutta se stessa per un ideale di umanità.