Codice: 498981311060553
Editore: Rubbettino
Categoria: Economia - Diritto
Ean13: 9788849816396
Soveria Mannelli, 2006; br., pp. 91, ill., cm 13x21. (Università).
AGGIUNGI AL CARRELLOSolo uno disponibile
Questo lavoro costituisce un tentativo di ripercorrere alcuni passaggi nell'evoluzione della pena patrimoniale, per proporne l'utilizzazione quale pena principale in una nuova ottica di politica criminale. La pena non è che il "danno giuridico" per il "danno criminale antigiuridico" cagionato dal reato. Ma la pena non può rimanere solo un "danno giuridico", perché deve costituire un'utilità sociale ed individuale scientificamente dimostrabile; pertanto, deve perdere l'indefettibilità del suo carattere di sofferenza, per divenire, innanzitutto, la condivisione giudiziale (possibile) dei danno criminale (inteso come danno pubblico comprensivo di quello privato, risarcibile ed irrisarcibile), al quale il reo deve far fronte con tutto ciò che è e sarà, con tutto ciò che ha ed avrà, nei limiti della propria colpevolezza. In alcune circostanze la sofferenza del reo ha, anche, un valore etico, ma non costituisce l'unico strumento che gli uomini possono utilizzare per perseguire scopi di giustizia nei confronti degli altri uomini. I punti di riferimento della legislazione penale, ormai, non sono solo il "fatto" e la "persona", ma anche il "patrimonio", quale "res" del reo e "res" del reato. Inoltre, non è esatto ritenere che le nuove idee dell'Illuminismo siano state tutte avverse alla pena patrimoniale: il Filangieri, a Napoli, nel 1798 ha prospettato l'utilità della confisca di percentuale del patrimonio del reo, in conformità al principio di uguaglianza.