Codice: 961041313483943
Editore: Damiani
Categoria: Cataloghi e monografie
Ean13: 9788889431573
A cura di Swinton T. Traduzione di Magi S. Testo Italiano e Inglese. Bologna, 2006; ril., pp. 240, ill. b/n, tavv. b/n, cm 25x28.
AGGIUNGI AL CARRELLODisponibile
Se fossi stata interpellata in merito alla scelta del titolo per il tuo libro, sarei stata indubbiamente indecisa tra due opzioni: "Se lo dici tu" ed "Ecco quello che ho notato". Trovo infatti che ognuna di queste due espressioni descriva quelle che io vedo come due tendenze distinte, ma appaiate, nel tuo lavoro: "Se lo dici tu", cioè i ritratti, quelli che tu descrivi come "autoritratti". Sono immagini, molto spesso di artisti, generalmente casuali e rilassate, occasionalmente commissionate; di personaggi che sono stati ripuliti con cura, oppure per niente, a seconda del livello di intimità gregaria coinvolta; che sono alle prese con la macchina fotografica, tranquillamente se in solitario, in preda all'ilarità se aggregati in branco. È la presentazione del volto pubblico. I personaggi tranquilli sembrano in qualche modo risuonare per la loro compostezza, tanto si distaccano dal dominio cinetico dell'istinto del branco celebrato nei pub, sulle spiagge, nei trogoli vuoti delle strade estive, quando ci si atteggia con smorfie a favore dell'obiettivo: piuttosto, questi ritratti sono lasciapassare per un'indagine approfondita e matura - la decisione complice di essere seri, almeno per un momento - così ecco Damien Hirst con gli occhiali, Cerith Wyn Evans e i suoi baffi, Jeff Wall contro la carta da parati, Tracy Emin stanca, ma felice di essere ripresa da te malgrado l'ora... "Ecco quello che ho notato" - questi sono momenti che rivelano completamente una tua personale scelta, ghermiti dalla vita intorno a te, momenti così comuni nella gioia e nell'abbandono: i Wilson che guardano il calcio, le ballerine russe che si mettono in mostra, i Currin che si baciano, una fugace visione della testa di Jay Jopling, colto in un abbraccio (un futuro affare?), Jeff Koons che firma per i suoi fan, Lady Bunny nella toilette degli uomini, l'incessante chiassosità tipica dell'atmosfera di vacanza, quando nessuno si preoccupa di notare che ci sei tu lì in piedi con una macchina fotografica. Le tue foto scattate a Napoli sono davvero, da molti punti di vista, la pietra su cui hai forgiato la tua lama d'artista: è lì che il tuo occhio da osservatore diventa raffinato, è lì che hai imparato a scattare immagini di persone. Ne includi soltanto una qui, con quei ragazzi noncuranti che ti guardano con un'espressione dura. E poi ci sono i momenti di osservazione del lavoro mentre viene compiuto: lo studio metodico, in qualche modo intellettuale, e le scene in galleria. Che epoca di pavimenti tirati a lucido! Che sensazione di lavoro metodico si percepisce da queste immagini, quale lavoro cerebrale, pulito... È così lontano dall'idea tradizionale che si ha della vita di studio di un artista, simboleggiato dall'icona di un ipotetico calvario inzaccherato di vernice in cui dal caos sul suo pavimento si riesce comunque a creare ordine sulla tela. Considerato quindi quello che è l'universo binario tipico del tuo lavoro, immagino che la soluzione perfetta potrebbe essere una raccolta unica riunita sotto il titolo "Crash", cioè scontro, schianto. Ecco quello che io considero il punto di maggiore impatto: il momento decisivo in cui l'intimità e un'osservazione alienata si riconciliano lentamente, inquadratura dopo inquadratura. Prendi Lorcan con una coperta, sotto una nuvolosa collina irlandese: un'immagine molto bella e personale, assolutamente e intrinsecamente romantica, eppure inequivocabilmente velata dalla consapevolezza di un osservatore che, sebbene sia restio a mostrarsi sentimentale, non può tuttavia resistere al lirismo, e decide di correre comunque questo rischio. E con quei bambini vestiti da mafiosi in Francia, mi sembra quasi di percepire il tuo autocompiacimento che pungola dietro la macchina mentre tu ti ci pieghi sopra: il brivido di una tale mossa audace, così (potenzialmente) spiazzante. Solo tu, Johnnie, che così maliziosamente sai sminuire te stesso, sei in grado di far vibrare questa particolare energia. Vedo qui qualcuno che guarda le cose - le persone - le quali sono a loro volta felici di essere osservate da te mentre le fotografi: il tuo drink nell'altra mano è marginale, ma comunque presente nell'inquadratura, il tuo mozzicone incastonato tra le dita con le quali metti a fuoco, con le quali premi l'otturatore. Vedo persone a cui non dispiace affatto ritrovarsi tra le tue immagini scelte - molto spesso si pavoneggiano addirittura di fronte al tuo obiettivo... La particolare intimità di quel pavoneggiarsi, quella particolare consapevolezza di sé quale si instaura solo tra gli amici più intimi, è un'intimità familiare a tutti noi: vedi le foto delle vacanze, le foto al pub, gli amici che si preparano, che si fanno immortalare. Penso alla grande tradizione inglese a cui tu appartieni e a cui apporti nuova linfa, data da quella combinazione unica di caos ed erudizione che per secoli individui dalla cattiva reputazione e personaggi dall'impeccabile educazione hanno egualmente fornito alla cultura inglese (e internazionale). Ecco i critici, fotografici e letterari: così inglesi nell'indole e nella provenienza, proprio come te. William Cobbett, l'osservatore della vita nelle isole britanniche del tardo XVIII secolo, il grande commentatore John Addison, che fondò The Spectator, e l'inimitabile (anche se in tanti continuano a tentare di seguirne le orme) Daniel Farson, la cui serie televisiva "Guide To The British" della fine degli anni '50 andò di pari passo con la sua brillante vita nei bassifondi e la relativa documentazione filmata a fianco dei Bernard, Belcher, Bacon e di tutti quei gozzovigliatori del Colony1, a Soho e Fitzrovia in quegli stessi anni. Penso alla tua educazione da artista, al tuo lavoro come gallerista per la Fine Arts Society portato avanti per tredici anni, prima che prendessi in mano una macchina fotografica: da come la descrivi tu, non fu nient'altro che capovolgere dipinti e guardarne il culo... e quali dipinti, poi? Ravilous, Burra, Bawden, Piper, Brockhurst. Maestri modesti e a mio parere gloriosi (anche se per la maggior parte non celebrati a dovere) dei decorosi, civili, sfacciatamente irriverenti eppure allo stesso tempo rassicuranti, prosaici artisti inglesi degli anni della guerra e del periodo successivo. Penso al loro rapporto con i classici, e vedo lo stesso classicismo - un classicismo di pittore - nelle tue fotografie. Mi ritrovo a desiderare che il Picture Post fosse qui per pubblicare il tuo lavoro ogni settimana. Mi piace vedere Eve Arnold che salta fuori in una delle tue immagini di questa raccolta, anche se è ritratta furtivamente in un ristorante, girata da un lato mentre è impegnata in una conversazione, con il tuo unico testimone che aggrotta cupo le sopracciglia dentro il tuo obiettivo. Dà l'impressione di essere il tuo solo riferimento all'universo della fotografia, la presenza di quella grande creatrice d'istantanee; la sua autorizzazione implicita a poter toccare la macchina sembra contagiosa, fonte d'ispirazione. Penso alle poche cose che sei disponibile a dire del tuo lavoro: che lo definisci "autoritrattistica", che ciò che intendi dire con questa definizione sembra essere che sono i tuoi soggetti a costruire l'immagine con te, anche se mi chiedo sempre di più quanto sia vero che le loro immagini rappresentino anche te... forse, per essere precisi, rappresentano qualcosa che ti piacerebbe mostrare di te ma che tu lasci fare a loro per tuo conto... Penso al fatto che tu ti dichiari risolutamente un opportunista, in romantica combutta con il caso, anche se osservando la curiosa strategia di ognuna delle atmosfere che hai saputo costruire, mi chiedo come faccia a essere così fortunato un semplice opportunista. "Siamo tutti piccoli imbroglioni", dici tu. Certo, caro. E tu ti destreggi in mezzo a una masnada di truffatori. Questi sono i nostri tempi. Tu, l'imbroglione gentiluomo tra la folla, scosso ma mai domo. Ancora capace di tenere in mano un bicchiere, una sigaretta e di mettersi a predisporre la macchina tanto da poter riuscire a cogliere una vaga idea di qualcosa che sia occasionalmente molto bello e, ancora più spesso, stranamente in grado di persistere nell'immaginario. Capita frequentemente che tu riesca a fornire l'immagine iconica - la chiave - della maniera in cui un artista molto noto in pubblico viene visto dal pubblico: la documentazione d'archivio della maniera in cui i tuoi soggetti si preparano per il mondo. Ma non sei così spregevole, come spesso diventano gli imbroglioni... Sono orgogliosa di poter contribuire al tuo libro con queste parole. Io amo il tuo lavoro. Lo trovo elettrizzante, compassionevole, pieno di affetto e gioia. Il tuo sguardo ti renderebbe comunque un artista, anche il tuo cuore non lo facesse. Casualmente, la sorte ti ha dato in dono porzioni extra di talento artistico, dal mio punto di vista. L'ultima volta che sei venuto in Scozia, hai raccontato ai bambini una storiella molto divertente (e, incredibilmente, non oscena) su Mary Poppins in un Bed & Breakfast, poi il giorno dopo mi hai mandato un messaggio: "Sesso all'aperto a Capri. Adesso pranzo. x". "Crash", sempre consapevolmente. Mescolare e accoppiare senza riserve. Nessuno lo fa meglio di te.